Relativamente agli immobili
urbani adibiti ad uso abitativo, con la L. 431/98, modificativa del
cosiddetto regime dell'equo canone, si è
introdotto un doppio canale alternativo:
- concludere un contratto a canone libero, ma di durata
non inferiore a quattro anni, rinnovabile automaticamente di altri
quattro se non sussistono condizioni particolari per la disdetta;
- concludere un contratto sulla base di appositi
contratti-tipo definiti dalle organizzazioni di proprietari e
conduttori, dalla durata non inferiore ai tre anni,
prorogabile di altri due in mancanza di accordo o delle
specifiche condizioni richieste dalla legge (v.
risposta successiva).
In entrambi i casi il contratto deve redigersi in forma scritta. Ogni
pattuizione volta a derogare i termini di durata del contratto
è nulla, così come ogni accordo volto a
determinare un canone superiore a quello risultante nel contratto.
L'inquilino può chiedere indietro quanto corrisposto in
più entro sei mesi dalla riconsegna dell'immobile.
Da questo regime restano esclusi gli immobili
vincolati ai sensi della Legge n. 1089/39 e quelli appartenenti alle
categorie catastali A/1, A/8, A/9 (quelli cioè di interesse
storico o artistico, di edilizia residenziale pubblica o locati per
finalità turistiche), per i quali continuano a valere le
regole del codice civile.
Il mancato pagamento del canone decorsi venti
giorni dalla scadenza prevista, oppure il mancato pagamento, nel
termine previsto, degli oneri accessori, quando l'importo non pagato
superi quello di due mensilità del canone, costituisce
motivo di risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1455 del codice
civile, e legittima un'azione di sfratto.
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Per ottenere un parere legale in ordine alla questione giuridica che
interessa può essere richiesta la
consulenza
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