Purtroppo talvolta accade che il datore di lavoro prenda di mira un lavoratore attivo sul piano sindacale,
adottando nei suoi confronti provvedimenti disciplinari anche per
errori lievi che, se fossero stati commessi da un collega non impegnato
sindacalmente, non avrebbero provocato alcuna reazione. La cosa
è tanto più grave se si pensa che, per somma di sanzioni
anche lievi, si può giungere al licenziamento. Ciò
nonostante, il delegato sindacale non è tutelato, nei confronti
del licenziamento, più di un normale lavoratore; tuttavia, egli
ha un efficace strumento processuale in più. Infatti, nel caso
di licenziamento del delegato sindacale, oltre alla ordinaria causa
promossa dal lavoratore direttamente interessato, è possibile
percorrere una strada diversa, forse più complessa, ma che
può portare a risultati difficilmente raggiungibili mediante la
normale causa individuale. Più precisamente, in un caso come
questo il sindacato potrebbe promuovere un procedimento per la
repressione della condotta antisindacale, ovvero del comportamento con
cui il datore di lavoro impedisca, o limiti, l'esercizio della
attività sindacale o del diritto di sciopero (art. 28 S.L.).
Il sindacato potrebbe, per esempio, mettere in evidenza
che il licenziamento del suo delegato costituisce una ritorsione del
datore di lavoro contro l'attività sindacale profusa dal
lavoratore. Per esempio, se si riuscisse a provare che mancanze simili
a quelle contestate al lavoratore sono state commesse anche da altri
colleghi, che non hanno riportato alcuna conseguenza, si potrebbe
concludere - appunto - che il licenziamento ha natura discriminatoria.
Analogamente si dovrebbe dire, qualora si dimostrasse che le
contestazioni, pur formalmente fondate, riguardano aspetti del tutto
marginali della esecuzione del rapporto di lavoro, così da
indurre ancora una volta a concludere nel senso che il datore di lavoro
può averle formulate solo per motivi discriminatori.
Come si vede, una strada come questa presenta
essenzialmente due svantaggi: il primo, è che la
titolarità di promuovere l'azione non spetta al singolo
lavoratore; la seconda, è che è arduo fornire la prova
della propria ragione. Tuttavia, questa stessa strada presenta il
vantaggio di poter ottenere l'annullamento giudiziale del
licenziamento, anche qualora questo sia stato inflitto, da un punto di
vista meramente formale, del tutto legittimamente. Inoltre, i tempi
della procedura ex art. 28 S.L. sono sensibilmente più rapidi
rispetto a quelli di un'ordinaria causa di lavoro. In ogni caso, il
fatto di aver promosso una azione non preclude la proponibilità
dell'altra.
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